Pubblicato su www.sullanotizia.com – Piano Casa: alcune nozioni fondamentali

Il Piano Casa
è la novità più "chiacchierata" tra le iniziative del governo o, si fa
prima e meglio a dire, del Presidente del Consiglio. Vediamo di
spiegare ai digiuni di urbanistica quali sono i presupposti e gli
obiettivi, nonché alcune eventuali conseguenze.

C’è
da sapere innanzitutto che l’iniziativa edilizia in Italia è permessa
attraverso due principali strumenti alla portata del cittadino: il Permesso di Costruire e la Denuncia Inizio Attività Edilizia
(questi i nomi dati dalla Regione Toscana dove vive chi scrive, nel
resto d’Italia può variare il nome ma la sostanza è simile).

Con
la DIAE si fanno ormai la gran parte degli interventi medi e piccoli:
il cittadino interessato consegna all’Ufficio Tecnico del Comune in cui
si svolgeranno i lavori una serie di documenti in cui illustra cosa
intende fare. Entro 20 giorni l’UTC può sorteggiare la pratica e
visionarla, per eventualmente avanzare richieste su integrazioni,
chiarimenti, oppure per dichiararsi contrario poiché viene violata
qualche norma. Di solito ciò non avviene, ovvero non viene sorteggiata
la pratica e, trascorsi 20 giorni, il committente dà il via ai lavori.
Praticamente senza chiedere un permesso vero e proprio (pagando un
pegno però sì, ovviamente, ma sono cifre contenute, diciamo, rispetto
all’importo dei lavori). Quali sono i lavori che si possono fare con una DIAE?
Per esempio, dividere in due una casa SENZA modificare altezza e
facciate (l’aspetto esteriore e il volume devono rimanere invariati);
suddividere diversamente gli spazi interni, spostando pareti, aprendo
nuove porte, ecc; rifare completamente un tetto, un solaio,
ristrutturare completamente un edificio un po’ traballante; demolire un
edificio molto ammalorato e ricostruirlo pari pari con gli stessi
materiali; realizzare una autorimessa staccata dalla casa purché abbia
il soffitto basso e non sia più grande di un tot di metri quadri
(insomma perché non sia "vivibile", perché a nessuno venga in mente di
andarci a vivere dentro). In generale sono interventi che non modificano l’aspetto esteriore del fabbricato né la visuale complessiva dell’abitato, ecc.

Con il PdC si fanno invece gli interventi più consistenti: nuova
edificazione, rialzamento di un piano, ampliamento anche solo di una
stanza, modifiche sostanziali all’aspetto di un edificio
,
insomma. Per ottenere un PdC si presenta una pratica (assai più
corposa) al medesimo UTC, si pagano consistenti "oneri di
urbanizzazione", e si aspetta che la Commissione Edilizia si riunisca e
giudichi il progetto. Quando il progetto viene approvato (sempre che
venga approvato, o che non vengano chieste integrazioni, chiarimenti,
ecc) di solito sono passati molti mesi dalla richiesta, ma si può
tranquillamente parlare anche di un anno. Qual è lo spirito della
Commissione Edilizia? E’ quello di valutare attentamente le proposte di
edificazione che potranno avere un impatto visivo, ambientale,
paesaggistico, sul contorno. E’ quello di impedire che il territorio
venga "imbruttito", e che vengano lesi i diritti dei confinanti.

La proposta di Berlusconi è quella di tramutare in DIAE un tipico intervento da PdC ovvero l’ampliamento
(del 20%, a quanto ha detto): procedure più spedite, quindi, meno
incartamenti, meno spese, più accessibilità per tutti i portafogli.

Se si tratti di una vera e propria DIAE – ovvero se non ci sia bisogno di un minimo atto di assenso – ancora non è stato ben chiarito. Ed è qui che sta il nocciolo del problema. Perché se non ci fosse davvero bisogno di un OK dell’UTC, la procedura sarebbe davvero spedita, e invogliante. Il rilancio dell’economia a partire dal settore trainante dell’edilizia sarebbe assicurato. Ed inoltre, il
vero vantaggio sarebbe per tutti quei giovani che vogliono smettere di
fare i bamboccioni ma non possono prendere il mutuo perché lavorano con
uno stipendio vergognoso
(magari precario), e inoltre oggi
come oggi le banche prima di concedere prestiti ci pensano mille volte.
Facciamo il caso di una villetta da 120 mq: ampliandola del 20% possono
creare due appartamenti, da 60 mq per i genitori rimasti senza figli,
da 84 mq per il figlio che così avrà lo spazio per metter su famiglia.
E certo tutto ciò si potrà fare ad un prezzo molto inferiore di quello
di un acquisto ex novo. Magari non si hanno 250 mila euro per comprare
una casa nuova, ma 70 mila per ampliarne una esistente, è già più
facile trovarli.

Il
rovescio della medaglia è che senza una commissione che valuti gli
ampliamenti in progetto, si rischia la "deregolamentazione",

come qualcuno l’ha voluta chiamare tanto per riempirsi la bocca con
parole difficili e darsi importanza: in realtà, più semplicemente, si
rischia di riempire il Belpaese di obbrobri. E’ anche vero che l’abusivismo
non è una pratica proprio "sconosciuta" agli italiani: un occhio
esperto ne sa riconoscere parecchi, in giro – e specialmente andando
verso sud.
Così almeno si cercherebbe di invogliare i cittadini alla "legalità", almeno su questo fronte.

 

Totalmente da rigettare appare l’accusa di "rischio cementificazione", piuttosto.

Se
andiamo in giro per le nostre città, vediamo che la cementificazione è
ben altro: palazzi di piani e piani, centinaia di
appartamenti, costruiti da imprese sempre più tentacolari, che saturano
ogni lotto rimasto libero, senza tenere conto della reale domanda di
alloggi ma soprattutto della disponibilità di quattrini degli italiani.
E infatti moltissimi alloggi costruiti da mesi rimangono vuoti,
invenduti: andate a dare un’occhiata fuori (e guardate che prezzi si
ostinano a mettere, oltretutto). Però intanto il cemento è stato
gettato, pur se vuoto quel palazzo ormai sta lì. Ben altra cosa, sia in
termini di impatto urbanistico, che in termini economici, che in
termini "etici", di un genitore che vuole aiutare un figlio a
sistemarsi e gli concede un pezzetto della propria casa, gli presta i
soldi per allargarla un po’, e gli permette, finalmente, di lasciare il
nido parentale, in cambio di un nuovo nido tutto suo… non delle
banche!

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